
Il Maggiore dei Marines Steve Beck si prepara all'ispezione finale sul corpo del Tenente J. Cathey, solo pochi giorni dopo aver comunicato alla moglie di Cathey della morte del Marine in Iraq. Bussando alla porta egli perpetua una tradizione vecchia di due secoli; una tradizione basata sul motto: “Mai abbandonare un Marine”.

Alla vista della bara di suo marito avvolta dalla bandiera, Katherine Cathey scoppia in un pianto incontrollabile, trovando conforto fra le braccia del Maggiore Steve Beck. Quando Beck aveva bussato alla sua porta per comunicargli la morte del marito, la donna lo aveva aggredito verbalmente e aveva rifiutato di parlargli per più di un ora. Nei giorni successivi, egli l'aveva aiutata ad affrontare il suo dolore e la sua opinione nei confronti del Maggiore era cambiata a tal punto che, sul piazzale dell'aeroporto, di fronte alla bara del marito, non avrebbe voluto altri al suo fianco.

Dopo l'arrivo del corpo del Tenente James Cathey all'aeroporto di Reno, i marines salgono nella stiva dell'aeroplano e avvolgono la bandiera sulla sua bara mentre i passeggeri osservano la famiglia riunirsi sul piazzale. L'anno precedente, all'arrivo della bara di un altro marine al Denver International Airport, il maggiore Steve Beck descrisse la scena come una delle più intense dell'intera procedura: “ Vede le persone ai finestrini? Se ne stanno lì seduti nell'aeroplano, guardando quei Marines. Ti chiederai cosa passi nelle loro menti, sapendo di essere stati nell'aereo che lo ha portato a casa,” disse. “ Ricorderanno di essere stati su quell'aereo per il resto delle loro vite. Ricorderanno di avere portato quel Marine a casa. Ed è giusto che sia così.”

Poco dopo l'arrivo della bara del marito all'aeroporto Reno, Katherine Cathey si lascia cadere, affranta, sulla bandiera. Quando il Tenente James Cathey era partito per l'Iraq, le aveva scritto una lettera che diceva, fra l'altro: “Non ci sono parole per descrivere quanto ti amo e quanto mi mancherai. Ti prometto una cosa: tornerò a casa. Ho una moglie e un bambino di cui prendermi cura, e voi due siete la mia vita.”

Il Maggiore Steve Beck e un altro Marine si avvicinano alla casa dei genitori del Tenente James Cathey, preparandosi ad accompagnarli all'aeroporto per ricevere il corpo del figlio. Cinque giorni prima gli ufficiali preposti a questo compito avevano fatto lo stesso percorso per portare la notizia che nessuna famiglia di militare vorrebbe mai sentire. La bandiera con la stella dorata alla finesta sta ad indicare la morte di un proprio caro oltreoceano.

Jo Burns piange, aprendo, insieme al marito, i pacchi contenenti le uniformi del figlio, provenienti dal'Iraq che il Maggiore Steve Beck ha appena consegnato loro. “Per me, riavere tutta questa roba è una buona cosa,” ha commentato lei, qualche minuto più tardi. “Voglio ricordare. Non voglio smettere di ricordare, o di provare qualcosa.” Bob Burns ha stretto le mani della donna fra le sue. “Neanch'io voglio dimenticare,” ha commentato. “Solo, non voglio che questo peggiori le cose.”

Il sergente dei Marine Jeremy Kocher veglia il corpo del Caporale Evenor Herrera di Eagle, Colorado, mentre adulti e bambini porgono i loro omaggio alla salma. Come molti Marine di stanza nella base aerea di Bakley, Kocher sostiene che l'organizzazione del funerale è la più difficile missione a cui abbia partecipato. “Comincio a pensarci dal momento in cui mi sveglio. E' un compito molto importante. Non voglio assolulamente che qualcosa vada storto. Tutto deve essere perfetto.

Alcuni membri del 23°squadrone controllo aereo della Marina di stanza alla base aerea Bukley scortano la bara del Caporale Evenor Herrera al cimitero di Eagle Colorado. Fin dall'inizio della guerra, i Marines di Buckley hanno partecipato ai funerali di 16 Marines in servizio attivo; 12 morti in Iraq e quattro morti in incidenti stradali.
Blanca Stibbs, al centro, riposa poggiando la testa sulla spalla di suo marito, David Stibbs, mentre i Marines della Guardia D' Onore ripiegano la bandiera che ha avvolto la bara del figlio, il caporale Evenor Herrera, durante la funzione funebre al Cimitero Sunset View ad Eagle, Colorado. 19 agosto 2005.

Lori DeMille di Oceanside, California, carezza la lapide del Caporale dei Marines caduto Kyle Burns, al cimitero nazionale Fort Logan. Venerdi 29 aprile 2005. DeMille aveva assistito Burns (originario di Laramie, Colorado), mentre era di stanza a Camp Pendleton. Si trovava a Denver per partecipare alla cerimonia di sostegno ai Marine che operano in Iraq.

Durante la cerimonia solenne denominata “ Ricordando i coraggiosi”, vengono consegnate ai familiari dei Marines caduti le medaglie al valore. Il Maggiore Steve Beck si prepara a consegnare una medaglia.

Jo Burns di Laramie, Wyoming , al centro, conforta il caporale Dustin Barker, 22 anni, durante la Cerimonia in ricordo dei Marines caduti. Sabato 30 aprile 2005. Il figlio di Jo Burns, il caporale Kile Burns, è stato ucciso in Iraq durante un'azione di guerra, l'11 novembre 2004. Il caporale Barker era in servizio insieme al caporale Burns ed era con lui quando fu ucciso.

Il Capitano Chris Sutherland, a sinistra, il Sergente Maggiore Jeff Study, il Sergente Clifford Grimes e il Sergente di artiglieria Todd Martin si preparano a consegnare le medaglie al valore ai familiari dei Marines caduti. Durante la cerimonia solenne, denominata “Ricordando i coraggiosi,” hanno fatto anche dono alle famiglie di un vaso con delle rose gialle – una rosa per ogni anno di vita dei Marines caduti.

Katherine Cathey preme delicatamente il suo pancione sulla bara del marito, piangendo sommessamente. Al bambino, nato il 22 dicembre 2005, è stato dato il nome di James Jeffrey Cathey, Jr.

Il corpo di James Cathey è stato straziato dalla potente esplosione di cui è stato vittima, per cui, la sua salma è stata delicatamente ricomposta in un sudario dagli addetti funebri militari, e la sua uniforme è stata deposta sul suo corpo. Dato che Katherine Cathey aveva deciso di non vedere ciò che restava di lui, il Maggiore Steve Beck guida la sua mano, facendole esercitare una lieve pressione sull'uniforme. “Lui è qui” le dice con voce pacata. “Proprio qui...”

La notte precedente la sepoltura del marito, Katherine Cathey rifiuta di abbandonare la sua bara, chiedendo di poter dormire accanto al suo corpo per l'ultima volta. I Marines le preparano un letto proprio sotto la bandiera. Prima che si addormentasse, uno dei Marines le ha chiesto se avesse preferito che lui continuasse la veglia funebre. “Sarebbe meraviglioso se continuasse a farlo,” gli disse. “Credo proprio sia quello che lui avrebbe voluto.”

Per tre giorni di seguito, I Marines hanno vegliato il corpo del Tenente James Cathey, prendendosi solo brevi pause in una stanza vicina alla Camera Mortuaria, dove il Sergente Davis Rubio si sta stropicciando gli occhi dopo un breve riposo. Rubio era stato inviato a rappresentare i Marines alla Università del Colorado, dove aveva incontrato per la prima volta Cathey. “Non ho mai sopportato quel tipo di servizio,” aveva detto Rubio. “Quando stai in un college, sei completamente al di fuori da ciò che sta accadendo in Iraq... Più discutevamo dell'argomento, meno avevamo la sensazione che capissero.”

Il giorno prima del funerale del loro amico, il Tenente Jon Mueller, a sinistra, e il Tenente Matthew Baumann si esercitano per ore a ripiegare la bandiera, per essere certi di non compiere alcun errore il giorno successivo. “Sarà l'ultima volta che ripiegheremo questa bandiera,” gli aveva detto il Maggiore Steve Beck, mentre li istruiva. “Tutto deve essere perfetto!”

Il funerale del figlio si avvicina, e Jeff Cathey non riesce a smettere di piangere. Aveva spesso trovato conforto proprio negli uomini che vestivano la stessa uniforme del figlio. “Qualcuno mi ha domandato che cosa ho imparato da mio figlio,” racconta “Lui mi ha insegnato che nella vita si ha bisogno di più di un solo amico.”

Prima dell'inumazione del corpo di James Cathey, sopra la sua bara vengono posti i guanti bianchi dei Marines che lui aveva indossato, la sabbia che avevano portato dalle spiagge di Iwo Jima, e una rosa rossa.
il merito di quest'articolo che trova ospitalità sul mio blog, va integralmente attribuito all'amica Marilena (Macfeller) che si è dedicata con rara maestria al faticoso lavoro di traduzione. L'idea è nata dalla vergognosa constatazione che un articolo che aveva vinto due premi "Pulitzer", per il testo e la fotografia, e che è stato tradotto in quasi tutte le lingue del mondo, dalla stampa italiana non è stato ritenuto degno della stessa fatica.
aggiungo questa foto, inviatami dall'amico Alberto, che credo possa essere un'ottima chiusura per quest'articolo