
oggi è un giorno di pioggia e non parleremo di politica, o forse sceglieremo un modo un po’ diverso per parlarne.
Oggi è uscito un nuovo disco del Principe, al secolo Francesco De Gregori.
“Per brevità chiamato artista” era la formula di rito con cui venivano firmati i contratti discografici, ed è anche il titolo dell’ultimo lavoro del cinquantasettenne cantautore romano. Se qualcuno era tra quelli che pensava che ormai la sua vena artistica fosse ampiamente sfruttata, dovrà ricredersi: “Per brevità chiamato artista” è un disco d’altissimo livello, meravigliosamente acustico, accarezzato da un timbro vocale che per molti è come tornare a casa, dalle sonorità di una chitarra che sembrano rimbalzare sulla pietra consunta di qualche angolo di Roma e da un’armonica struggente come solo quella del poeta di Duluth.
Spesso intimista e ripiegato su se stesso, in un analisi senza indulgenze. A tratti politico e sociale, rassegnato a vedere gente senza cuore in giro per la città, che brucia persone e cose solo per vedere che effetto fa o gusta carne umana per colazione. Ma, quasi a ribadire il fatto che il disco sia essenzialmente un autoritratto destinato a chiudere col passato e cercare uno spiraglio per il futuro, De Gregori ci lascia con queste parole del brano che conclude l’album e s’intitola “L’infinito”:
“ Ho viaggiato fino in fondo alla notte,
e stava nevicando,
e ho visto un grande albergo con le luci spente,
e ho avuto un po’ paura,
ma nemmeno tanto “
Non serve parlare di musica… se è buona musica, serve ascoltarla.
Quindi compratelo, fatevelo imprestare, scaricatelo o duplicatelo… ma ascoltatelo! O in ultima analisi, rubatelo: se dovessimo scegliere, saremo dalla parte di chi ruba nei supermercati, piuttosto che da quella di chi li ha costruiti… rubando!
Oggi è uscito un nuovo disco del Principe, al secolo Francesco De Gregori.
“Per brevità chiamato artista” era la formula di rito con cui venivano firmati i contratti discografici, ed è anche il titolo dell’ultimo lavoro del cinquantasettenne cantautore romano. Se qualcuno era tra quelli che pensava che ormai la sua vena artistica fosse ampiamente sfruttata, dovrà ricredersi: “Per brevità chiamato artista” è un disco d’altissimo livello, meravigliosamente acustico, accarezzato da un timbro vocale che per molti è come tornare a casa, dalle sonorità di una chitarra che sembrano rimbalzare sulla pietra consunta di qualche angolo di Roma e da un’armonica struggente come solo quella del poeta di Duluth.
Spesso intimista e ripiegato su se stesso, in un analisi senza indulgenze. A tratti politico e sociale, rassegnato a vedere gente senza cuore in giro per la città, che brucia persone e cose solo per vedere che effetto fa o gusta carne umana per colazione. Ma, quasi a ribadire il fatto che il disco sia essenzialmente un autoritratto destinato a chiudere col passato e cercare uno spiraglio per il futuro, De Gregori ci lascia con queste parole del brano che conclude l’album e s’intitola “L’infinito”:
“ Ho viaggiato fino in fondo alla notte,
e stava nevicando,
e ho visto un grande albergo con le luci spente,
e ho avuto un po’ paura,
ma nemmeno tanto “
Non serve parlare di musica… se è buona musica, serve ascoltarla.
Quindi compratelo, fatevelo imprestare, scaricatelo o duplicatelo… ma ascoltatelo! O in ultima analisi, rubatelo: se dovessimo scegliere, saremo dalla parte di chi ruba nei supermercati, piuttosto che da quella di chi li ha costruiti… rubando!