
le foto pubblicate da “Paris Match”, e che mostrano i talebani che hanno teso l’imboscata di metà agosto ai soldati francesi in Afghanistan fieri dei loro trofei, oltralpe hanno suscitato grande sdegno.
Politici di destra e di sinistra e autorità militari si sono trovati uniti nell’accusare la stampa di aver umiliato i parenti dei soldati uccisi e fatto opera di disfattismo: cosa che offre un’ulteriore pezza d’appoggio all’idea che l’idiozia sia trasversale, e il buon senso di parte.
Personalmente ritengo che non esista un solo reportage giornalistico, degno di questo nome, che non abbia urtato la sensibilità di parecchie persone e impedito a profonde ferite d’iniziare a rimarginarsi. Ma credo anche che la vera umiliazione per i parenti dei caduti sia quella di aver perso un proprio caro in una guerra che oltre la metà dei francesi non comprende e non condivide, e che sembra invece condividere l’invito della madre di uno di questi di smettere di trotterellare e scodinzolare dietro Bush e di andare via dall’Afghanistan.
Quello che però lascia veramente interdetti è l’accusa di disfattismo rivolta a due giornalisti che si sono limitati a mostrare al mondo quello che accade in una parte di mondo che a troppi farebbe comodo dimenticare. Quasi che la realtà possa avere un preciso orientamento politico e possa fare il galoppino di qualcuno, quasi ad invocare una ritrovata censura in tempi di guerra, retaggio storico inutile, ridicolo e vergognoso.
Ma siccome lo sapete, sono qui per provocare, vi lascio con una domanda: e se domani “Paris Match” decidesse di pubblicare in prima pagina le foto del bombardamento alleato che ha provocato oltre sessanta morti, in buona parte “talebani” bambini, sostituendo l’immagine di un’umiliante sconfitta con quella di una brillante vittoria, pensate che riceverebbe il plauso di quelli che l’hanno criticata o si vedrebbe di nuovo accusata di fare il gioco del nemico?
una piccola aggiunta: vi lascio i nomi dei due giornalisti, Véronique de Viguerie e Eric de la Varenne, che hanno preferito gli agi di una gita col “jet set” dei talebani, piuttosto che rischiare la pelle per trovar posto di fianco a George Clooney alla cena di gala al Festival del Cinema di Venezia
Politici di destra e di sinistra e autorità militari si sono trovati uniti nell’accusare la stampa di aver umiliato i parenti dei soldati uccisi e fatto opera di disfattismo: cosa che offre un’ulteriore pezza d’appoggio all’idea che l’idiozia sia trasversale, e il buon senso di parte.
Personalmente ritengo che non esista un solo reportage giornalistico, degno di questo nome, che non abbia urtato la sensibilità di parecchie persone e impedito a profonde ferite d’iniziare a rimarginarsi. Ma credo anche che la vera umiliazione per i parenti dei caduti sia quella di aver perso un proprio caro in una guerra che oltre la metà dei francesi non comprende e non condivide, e che sembra invece condividere l’invito della madre di uno di questi di smettere di trotterellare e scodinzolare dietro Bush e di andare via dall’Afghanistan.
Quello che però lascia veramente interdetti è l’accusa di disfattismo rivolta a due giornalisti che si sono limitati a mostrare al mondo quello che accade in una parte di mondo che a troppi farebbe comodo dimenticare. Quasi che la realtà possa avere un preciso orientamento politico e possa fare il galoppino di qualcuno, quasi ad invocare una ritrovata censura in tempi di guerra, retaggio storico inutile, ridicolo e vergognoso.
Ma siccome lo sapete, sono qui per provocare, vi lascio con una domanda: e se domani “Paris Match” decidesse di pubblicare in prima pagina le foto del bombardamento alleato che ha provocato oltre sessanta morti, in buona parte “talebani” bambini, sostituendo l’immagine di un’umiliante sconfitta con quella di una brillante vittoria, pensate che riceverebbe il plauso di quelli che l’hanno criticata o si vedrebbe di nuovo accusata di fare il gioco del nemico?
una piccola aggiunta: vi lascio i nomi dei due giornalisti, Véronique de Viguerie e Eric de la Varenne, che hanno preferito gli agi di una gita col “jet set” dei talebani, piuttosto che rischiare la pelle per trovar posto di fianco a George Clooney alla cena di gala al Festival del Cinema di Venezia