difficile che le storie che iniziano male non finiscano peggio.
E la storia dell’ACNA di Cengio, ai confini tra Piemonte e Liguria, non si può certo dire che fosse iniziata bene. Lo stabilimento fu fondato nel 1882 come dinamitificio Barbieri, per produrre polvere pirica, nitroglicerina e ovviamente dinamite. Si riconverte alla chimica nel 1929, e inizia a produrre coloranti industriali per tessile, cuoio e materie plastiche, tutte lavorazioni particolarmente inquinanti. Per smaltire i reflui di produzione, si accantonano costosi procedimenti, e si preferisce riversarli nel Bormida, che aveva opportunamente deciso di passare nei paraggi. Nel giro di pochi anni il fiume e la natura circostante si danno per vinti, dopo che decine tra gli inquinanti più tossici e cancerogeni hanno permeato le falde e i terreni circostanti, per andarsi a ricongiungere con i veleni che lo stabilimento riversa nell’aria dai suoi oltre centocinquanta camini.
L’acqua entrava pulita nell’ACNA e ne usciva di un colore che Bebbe Fenoglio paragonava a quello del sangue raggrumato, tale da metterti freddo nel midollo. Ora, di solito sono le guerre a portare la morte, in val Bormida, invece, fu la morte del fiume a portare la guerra: guerra tra contadini e operai che difendevano il posto di lavoro, tra piemontesi e liguri, tra sindacati e partiti politici.
Abbiamo parlato di scrittori e di veleni, ed ecco che questa storia s’incrocia con un’altra storia e ci porta a parlare di Primo Levi e di Auschwitz. Negli anni trenta l’ACNA, senza voler fare della facile ironia, era in cattive acque, e viene partecipata dal colosso chimico tedesco IG Farben. Così nel 1938, per atto di cortesia nei confronti dei soci, l’ACNA applica in maniera rigidissima le leggi razziali e toglie il lavoro a tutti gli ebrei, anche se poi molti di questi riprenderanno a “lavorare” per IG Farben nel campo di concentramento di Auschwitz, assieme a Primo Levi che era per l’appunto un chimico. A differenza dello scrittore torinese, produrranno benzina e gomma, ma soprattutto il famoso Zyklon-B usato come componente letale nelle camere a gas.
Non meno letali, nel corso degli anni si riveleranno le componenti cancerogene generosamente dispensate dall’ACNA all’intera vallata, e entrambe le aziende, forse per gli indubbi meriti acquisiti, impiegheranno quasi cinquant’anni ad essere chiuse. La IG Farben posta in liquidazione ai tempi del processo di Norimberga, ha continuato l’attività fino al 2004, l’ACNA fino al 1999, vinta, dopo più di un secolo di lotte, dal clamore suscitato dall’interruzione di una tappa del Giro d’Italia, che ha portato i fatti alla ribalta nazionale.
Ora restano i problemi di bonifica del territorio, una delle più grandi mai tentate in Europa, e le lotte degli valligiani per il risarcimento dei danni.Naturalmente in quasi cent’anni, a differenza dei pesci del Bormida, i politici nella vicenda ci hanno sguazzato abbondantemente, e ce da giurare che altrettanto faranno per le opere di bonifica. Ma qui la storia si dilaterebbe troppo, e vi rimando al libro "Cent'anni di veleno" di Alessandro Hellmann e al lavoro teatrale cui ho sottratto il titolo di quest’articolo.
E la storia dell’ACNA di Cengio, ai confini tra Piemonte e Liguria, non si può certo dire che fosse iniziata bene. Lo stabilimento fu fondato nel 1882 come dinamitificio Barbieri, per produrre polvere pirica, nitroglicerina e ovviamente dinamite. Si riconverte alla chimica nel 1929, e inizia a produrre coloranti industriali per tessile, cuoio e materie plastiche, tutte lavorazioni particolarmente inquinanti. Per smaltire i reflui di produzione, si accantonano costosi procedimenti, e si preferisce riversarli nel Bormida, che aveva opportunamente deciso di passare nei paraggi. Nel giro di pochi anni il fiume e la natura circostante si danno per vinti, dopo che decine tra gli inquinanti più tossici e cancerogeni hanno permeato le falde e i terreni circostanti, per andarsi a ricongiungere con i veleni che lo stabilimento riversa nell’aria dai suoi oltre centocinquanta camini.
L’acqua entrava pulita nell’ACNA e ne usciva di un colore che Bebbe Fenoglio paragonava a quello del sangue raggrumato, tale da metterti freddo nel midollo. Ora, di solito sono le guerre a portare la morte, in val Bormida, invece, fu la morte del fiume a portare la guerra: guerra tra contadini e operai che difendevano il posto di lavoro, tra piemontesi e liguri, tra sindacati e partiti politici.
Abbiamo parlato di scrittori e di veleni, ed ecco che questa storia s’incrocia con un’altra storia e ci porta a parlare di Primo Levi e di Auschwitz. Negli anni trenta l’ACNA, senza voler fare della facile ironia, era in cattive acque, e viene partecipata dal colosso chimico tedesco IG Farben. Così nel 1938, per atto di cortesia nei confronti dei soci, l’ACNA applica in maniera rigidissima le leggi razziali e toglie il lavoro a tutti gli ebrei, anche se poi molti di questi riprenderanno a “lavorare” per IG Farben nel campo di concentramento di Auschwitz, assieme a Primo Levi che era per l’appunto un chimico. A differenza dello scrittore torinese, produrranno benzina e gomma, ma soprattutto il famoso Zyklon-B usato come componente letale nelle camere a gas.
Non meno letali, nel corso degli anni si riveleranno le componenti cancerogene generosamente dispensate dall’ACNA all’intera vallata, e entrambe le aziende, forse per gli indubbi meriti acquisiti, impiegheranno quasi cinquant’anni ad essere chiuse. La IG Farben posta in liquidazione ai tempi del processo di Norimberga, ha continuato l’attività fino al 2004, l’ACNA fino al 1999, vinta, dopo più di un secolo di lotte, dal clamore suscitato dall’interruzione di una tappa del Giro d’Italia, che ha portato i fatti alla ribalta nazionale.
Ora restano i problemi di bonifica del territorio, una delle più grandi mai tentate in Europa, e le lotte degli valligiani per il risarcimento dei danni.Naturalmente in quasi cent’anni, a differenza dei pesci del Bormida, i politici nella vicenda ci hanno sguazzato abbondantemente, e ce da giurare che altrettanto faranno per le opere di bonifica. Ma qui la storia si dilaterebbe troppo, e vi rimando al libro "Cent'anni di veleno" di Alessandro Hellmann e al lavoro teatrale cui ho sottratto il titolo di quest’articolo.