A Rio De Janeiro ci sono oltre settecento favelas abbarbicate sulla collina, abitate da un milione e mezzo di persone. Le autorità locali non hanno mai cercato di osteggiare gli insediamenti, partendo dal presupposto che l’importante è che i diseredati stiano tra loro, e il più distante possibile dalla città.
Le comunità si sono organizzate da sole, diventando ben presto il regno in terra della prostituzione e della droga. Città assolutamente chiuse, dove si entra se conosciuti e spesso non se ne esce. In vent’anni le armi da fuoco hanno ucciso circa cinquecentomila persone, un centinaio al giorno, numero che supera quello di molte guerre apertamente dichiarate che insanguinano il mondo. Di queste vittime circa la metà sono giovani, molte giovanissime e fanno parte dei “meninos de rua” , termine portoghese che definisce i bambini di strada. Bambini, spesso orfani, che sopravvivono dandosi all’accattonaggio, alla prostituzione o finendo per ingrossare le file di una delle tre grandi organizzazioni dedite allo spaccio di stupefacenti. Fiutano colla per stordirsi e dimenticare la fame, e in assenza di droga sono capaci di svitare il tappo del serbatoio di qualche auto e aspirare i vapori della benzina. Ammazzano su commissione, a volte per motivi futili: vittime e carnefici nello stesso tempo.
In questi giorni sentiamo spesso parlare di violenza, ma il nostro concetto non è minimamente assimilabile a cosa s’intende per violenza nelle favelas. La testimonianza di un quindicenne è sconvolgente: ha già ammazzato quattro uomini e una sua coetanea colpevole di aver fatto la spia alla polizia. La ragazza è stata circondata dal branco, violentata a turno, uccisa con un colpo di pistola alla testa, e nuovamente violentata. Il suo corpo è stato smembrato e i pezzi conservati, nel caso qualcuno avesse bisogno di monito per ricordare che nessuno ha il diritto di parlare di quello che vede. Dall’altra parte gli “squadroni della morte” della polizia brasiliana, regolare o irregolare, con la stessa violenza fanno stragi nelle favelas: una tra le tante, la strage della Candelaria, ha avuto un eco maggiore, forse perché aveva per vittime bambini molto piccoli o forse perché questi sono stati freddati con sventagliate di armi automatiche mentre stavano dormendo sui gradini dell’omonima chiesa.
Lo scenario complessivo è complesso e ambivalente. Tre falangi gestiscono il narcotraffico: il Comando Vermelho, Terceiro Comando, Amigos dos Amigos. Ogni favela di Rio appartiene a uno di questi tre gruppi e chi appartiene a una favela può circolare solo nelle favelas dello stesso gruppo. Tra loro si reputano nemici mortali e quando uno degli appartenenti viene arrestato, prima di entrare in carcere, deve dichiarare il gruppo di appartenenza: anche chi non è affiliato e ha commesso reati comuni deve comunque manifestare la preferenza per una delle fazioni. Le forze di polizia combattono i narcotrafficanti con incursioni di una violenza inaudita, ma molto spesso sono collusi con essi e il loro intervento rientra in un’ottica di vendetta o ritorsione. Spesso si occupano come sicari delle esecuzioni più complicate o si limitano a chiudere un occhio in cambio di denaro o di favori sessuali.
Un film che si occupa di documentare le azioni violente e i soprusi delle truppe d’elite della polizia è stato attaccato da destra e da sinistra: gli uni con l’accusa di mettere in cattiva luce la polizia, gli altri con quella d’istigare gli adolescenti alla violenza. In ogni caso è diventato oggetto di culto: la maggior parte dei brasiliani l’ha visto nella versione pirata prima che uscisse nelle sale, e ha eletto il cinico capitano protagonista come eroe personale. Del resto, il filone sembra ben conciliarsi con la politica di tolleranza zero portata avanti dal governatore Sergio Cabral, che da un anno va facendo decine di morti innocenti, senza che nessuno sembri sconvolgersi più di tanto.Così finzione truculenta e realtà si mischiano, senza che vi sia più posto per l’indignazione che entrambe dovrebbero suscitare.
Le comunità si sono organizzate da sole, diventando ben presto il regno in terra della prostituzione e della droga. Città assolutamente chiuse, dove si entra se conosciuti e spesso non se ne esce. In vent’anni le armi da fuoco hanno ucciso circa cinquecentomila persone, un centinaio al giorno, numero che supera quello di molte guerre apertamente dichiarate che insanguinano il mondo. Di queste vittime circa la metà sono giovani, molte giovanissime e fanno parte dei “meninos de rua” , termine portoghese che definisce i bambini di strada. Bambini, spesso orfani, che sopravvivono dandosi all’accattonaggio, alla prostituzione o finendo per ingrossare le file di una delle tre grandi organizzazioni dedite allo spaccio di stupefacenti. Fiutano colla per stordirsi e dimenticare la fame, e in assenza di droga sono capaci di svitare il tappo del serbatoio di qualche auto e aspirare i vapori della benzina. Ammazzano su commissione, a volte per motivi futili: vittime e carnefici nello stesso tempo.
In questi giorni sentiamo spesso parlare di violenza, ma il nostro concetto non è minimamente assimilabile a cosa s’intende per violenza nelle favelas. La testimonianza di un quindicenne è sconvolgente: ha già ammazzato quattro uomini e una sua coetanea colpevole di aver fatto la spia alla polizia. La ragazza è stata circondata dal branco, violentata a turno, uccisa con un colpo di pistola alla testa, e nuovamente violentata. Il suo corpo è stato smembrato e i pezzi conservati, nel caso qualcuno avesse bisogno di monito per ricordare che nessuno ha il diritto di parlare di quello che vede. Dall’altra parte gli “squadroni della morte” della polizia brasiliana, regolare o irregolare, con la stessa violenza fanno stragi nelle favelas: una tra le tante, la strage della Candelaria, ha avuto un eco maggiore, forse perché aveva per vittime bambini molto piccoli o forse perché questi sono stati freddati con sventagliate di armi automatiche mentre stavano dormendo sui gradini dell’omonima chiesa.
Lo scenario complessivo è complesso e ambivalente. Tre falangi gestiscono il narcotraffico: il Comando Vermelho, Terceiro Comando, Amigos dos Amigos. Ogni favela di Rio appartiene a uno di questi tre gruppi e chi appartiene a una favela può circolare solo nelle favelas dello stesso gruppo. Tra loro si reputano nemici mortali e quando uno degli appartenenti viene arrestato, prima di entrare in carcere, deve dichiarare il gruppo di appartenenza: anche chi non è affiliato e ha commesso reati comuni deve comunque manifestare la preferenza per una delle fazioni. Le forze di polizia combattono i narcotrafficanti con incursioni di una violenza inaudita, ma molto spesso sono collusi con essi e il loro intervento rientra in un’ottica di vendetta o ritorsione. Spesso si occupano come sicari delle esecuzioni più complicate o si limitano a chiudere un occhio in cambio di denaro o di favori sessuali.
Un film che si occupa di documentare le azioni violente e i soprusi delle truppe d’elite della polizia è stato attaccato da destra e da sinistra: gli uni con l’accusa di mettere in cattiva luce la polizia, gli altri con quella d’istigare gli adolescenti alla violenza. In ogni caso è diventato oggetto di culto: la maggior parte dei brasiliani l’ha visto nella versione pirata prima che uscisse nelle sale, e ha eletto il cinico capitano protagonista come eroe personale. Del resto, il filone sembra ben conciliarsi con la politica di tolleranza zero portata avanti dal governatore Sergio Cabral, che da un anno va facendo decine di morti innocenti, senza che nessuno sembri sconvolgersi più di tanto.Così finzione truculenta e realtà si mischiano, senza che vi sia più posto per l’indignazione che entrambe dovrebbero suscitare.
18 commenti:
Chissà perchè delle favelas di Rio non si parla mai..
In questo mondo strano, dove fa notizia l'unghia incarnita di una subrette, o dove gruppi di agiati e panciuti signori e signore si abbarbicano isterici al loro tinello che vedono minacciato da un inessitente imminetne pericolo dei opveri del mondo, ci sono realtà dove la vita davvero non vale neppure un pacchetto di sigarette...
Sei un grande, senza dubbio.
Un saluto senza sorriso (non ce la faccio)
Mister X di COmicomix
ho svolto un approfondito lavoro di documentazione prima di scrivere l'articolo, e posso dirti che di testimonianze sconvolgenti ne avevo purtroppo molte. Ho scelto di riportarne due, e volevo chiederti: ritieni che post molto duri come questo possano contribuire a smuovere le coscenze o preferiristi che fossero in qualche modo edulcorati? L'avviso nel titolo è corretto o diventa un escamotage per attirare l'attenzione?
Una buona serata e un ringraziamento.
@ Comicomix: oggi gli apprezzamenti devono andare tutti al tuo bellissimo racconto. Come ti ho scritto, sei riuscito a far convergere le riflessioni di tutti senza polemiche... davvero un'impresa difficilissima!
Mi piacerebbe avere il tuo parere sui due quesiti che ho posto all'amica Lisa...
Un saluto e un ringraziamento.
La mia ammirazione incondizionata va alle persone che sono a raccogliere le notizie sul campo: professionista della carta stampata o semplice volontario di qualche associazione, non deve essere facile infilarsi in una favela di Rio. A noi non resta che offrire un pizzico di visibilità in più al loro lavoro.
Quanto alla durezza di un testo o di un'immagine, credo possa essere molto utile, a patto di non abusarne: gli avvocati americani se non possono nascondere un immagine violenta, cercano di farla vedere decine di volte per ingenerare assuefazione nei giurati... sembra folle, ma pare che funzioni.
Grazie, come sempre, e buona notte.
tu pensi che sarebbe consigliabile anche per noi provare simili situazioni?
io credo proprio di no. spero che il governo esca dal letargo.
Valeria
io dico solo che la povertà genera violenza, e a quei livelli è capace di strappare l'innocenza anche dagli occhi dei bambini. Dico che la violenza genera altra violenza: chi sono i buoni e chi i cattivi in una favela di Rio?
Il post è agghiacciante. Il tuo commento è straordinario.
Stavolta, senza parole.
Un abbraccio silenzioso
Mister X di Comicomix
oggi gli apprezzamenti devono andare tutti al tuo bellissimo racconto. Come ti ho scritto, sei riuscito a far convergere le riflessioni di tutti senza polemiche... davvero un'impresa difficilissima!
Un saluto e un ringraziamento.
per molti di noi,pultroppo,quando parli di Brasile ,pensano,parlano,sognano solo giocatori,ballerine,il calore e le meraviglie che questo Paese riesce a trasmettere,dimenticando incosciamente o volutamente tutto quello che Rickgav con il suo articolo rimarca delle martoriate vite calpestate e delle sofferenze di migliaia di esseri il più delle volte giovanissimi,il dilagare della violenza e della tirannia usata da chi,come la polizia, dovrebbe invece aiutare a vivere in maniera più umana
in questi giorni più che in altri sembra davvero difficile guardare e vedere realmente cosa sta accadendo: tutti pronti, come sempre, a strumentalizzare tutto e a scaricare sugli altri le responsabilità... nessuno però che FACCIA davvero qualcosa !
E poi, siamo o no tra i paesi più industrializzati del mondo? se proprio non vogliamo che gli altri vengano a cercare da noi quello che non hanno nelle loro patrie perchè non ci frughiamo, rinunciamo a un po' di privilegi (presente l'ultima oscenità sui conti del Senato?) a un po' di torroncini e attuaiamo delle manovre utili ed efficaci in loco?
e un'ultima cosa: ma i bambini non sono tutti bambini? e la fame e la povertà non sono sempre la stessa cosa ovunque siano localizzate? non credo che dobbiamo arrivare ai livelli delle favelas però non dobbiamo fare finta che non esistano e che lì, veramente, la gente muore e i bambini sniffano colla per non sentire la fame... e se questo lo chiamate buonismo provate a pensare che vi siano i vostri figli in quelle condizioni e, se non vi viene il magone e non vi fa una rabbia incredibile... beh, non avete figli...
Lisa
due pensieri che mi vengono dopo aver letto i bellissimi commenti di Lisa e Adriano:
se l'autorità condivide e fomenta la violenza, questa non potrà più essere rinfacciata a nessuno
se non saremo in grado di rinunciare a un po' di privilegi, dovremo fare i conti con quelli a cui neghiamo anche i bisogni elementari
Cito-"Se l'autirità condivide e fomenta la violenza,questa non potrà più essere rinfacciata a nessuno".
Da incorniciare rickgav.
Il post offre spunti di riflessione in quanti di noi riusciranno a ricordare che non esiste un "presente" senza collegarlo al "passato" e alla storia dell'uomo.
Chi dimentica che la povertà abbruttisce,inaridisce,anestetizza le coscienze;sottovaluta l'importanza della solidarietà,e si sente minacciato dalle conseguenze che ha prodotto la miseria in tutte le sue forme,difficilmente potrà aspirare a un vivere civile e umanamente condivisibile.
Continuerà a nutrirsi d'intolleranza(non razzismo,quello è diverso ancora secondo me)a prescindere,nei confronti di chiunque minaccerà l'orticello verde e fiorito che idealmente si è costruito.
Concludo ricordando anche a me stessa che quando mi riferisco al risultato prodotto dalla miseria,quando si manifesta,col carico brutale e omicida,mi aspetto che sia l'autorità a fare giustizia.Dico basta agli squadroni fascisti che non aspettano altro per sfogare la cattiveria razzista(e questo si,è razzismo)dico basta ai politici che cavalcano l'onda dell'emozione e del dolore per un pugno di voti di m...
A te,rickgav,dico grazie per questo post che spero scuota tante coscienze addormentate perchè anestetizzate.
che dirti... se non ringraziarti per aver sviluppato così bene il mio modesto spunto.
Grazie, Riccardo
Insisto,grazie a te.Ciao Riccardo,alla prossima.
Complimenti per l'articolo, testo di un mondo tenuto spesso lontano dai nostri comodi divani, ma che in realtà viaggia accanto alle nostre vite, in linee difficili da immaginare per noi
Come con i rifiuti pericolosi, cerchiamo di seppellire miseria e degrado il più possibile lontano da noi. Ma queste generano una violenza che torna indietro velocemente, fino ad entrare nelle nostre città e nelle nostre esistenze.
Grazie dell'apprezzamento e della visita.
ero a conoscenza pure io di queste cose. Originario del mio paese c'era un missionario in Brasile (che ora è morto) il quale ha costruito parecchie scuole e ospedali per i bambini.
ogni natale facciamo un concerto di beneficienza per inviare soldi a quelle comunità. Non è tanto, però è qualcosa.
indubbiamente il Brasile è uno dei paesi in cui l'infanzia viene più vilipesa, e questo articolo voleva essere anche un tributo al coraggio che molti dimostrano andando ad occuparsene in uno degli angoli più pericolosi del mondo.
un saluto
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