ho scelto queste parole di Adele







Eran creature dalla pelle nera
che furon spinte a forza sulle navi
dai porti dell’Africa a salpare
per raggiungere la nuova terra.
E furon venduti.
Dispersi per un continente infinito.
Le loro lacrime e i loro gemiti
non erano ascoltati né visti.
Da nessuno.
Nemmeno da Dio.
E son neri gli occhi ed i capelli
dei lavoratori che vengono dal sud,
che salgono su treni puzzolenti
si accalcano tra pacchi e valige.
Hanno gli occhi arrossati di pianto,
e il cuore straziato dall’angoscia.
Eppure vanno, vanno, vanno
in paesi dove il sole non brilla,
dove il cielo è grigio
e le colline ed i monti sono scogli per loro.
Di solito raggiungono le grandi città.
Impauriti ristanno nelle sale d’aspetto
di stazioni che si assomigliano tutte
guardando la folla che corre
verso le fermate dei bus,
verso le stazioni del metró.
Marionette senza personalità
corrono, corrono a uguale velocità
tutti verso il medesimo punto:
il lavoro.
E chi è nuovo arrivato stupisce,
si spaventa, atterrisce…
e vorrebbe sparire,
ma non può.
Anche lui è venuto ad accrescer la schiera
dei condannati alla schiavitù.
Non sono campi di cotone
né di canne da zucchero,
sono strade dense di acciaio e di asfalto
impestate dallo smog che attanaglia la gola,
avvelena i polmoni ed il sangue.
Sono fabbriche zeppe di macchinari mostruosi
che solo al vederli incutono terrore.
Anche queste creature dagli occhi neri e lucenti
costretti dalla fame e dalla miseria
che son terribili più dei negrieri
diventano schiavi di chi li ingaggerà.
E con tristezza profonda
una lacrima cade sulla firma
che a stento riescono a scarabocchiare
in fondo al contratto di lavoro.
Un ghigno che vorrebbe essere un sorriso
vuole esprimere la soddisfazione di un padre
che per un anno o forse più
ha venduto se stesso e la sua forza
per un pugno di franchi o di marchi.
Non importa a costoro la dura fatica,
se il pericolo è sempre in agguato.
Essi vogliono solo l’onesto lavoro.
Non comprendono la barbara lingua,
né i lazzi dei compagni stranieri.
Ingoiando amari bocconi
son trattati da cani e poltroni,
ma nessuno può leggere dentro
a quei petti scolpiti nel marmo.
Maledicono Iddio e i governi,
i ministri, i partiti, la chiesa,
parlan guardinghi col connazionale.
Han timore di tutto e di tutti.
Neppure il cibo ha più gusto per loro.
Si sentono soli, abbandonati,
prigionieri di una società di ghiaccio
che raggela il sangue nelle loro vene.
Sanno che non sono desiderati.
Sanno di essere soltanto sfruttati.


Adele07 (Easy Rider)


Le esperienza descritte nella poesia sono state vissute personalemente dall'autrice sia in Germania come a Parigi e specialmente l'ultima parte parla di un gruppo di siciliani che lavoravano con me e si erano tanto affezionati quando li difendevo e aiutavo come fiduciaria sindacale per gli stranieri in quell'officina.Ricordo che il più giovane dei quattro fratelli che erano di Enna o dintorni firmava il contratto con mano insicura e una lacrima è caduta su quel foglio. Li ho sentiti imprecare contro il governo italiano per non avere incrementato le possibilità di lavoro e di istruzione in Sicilia. Erano orgogliosi di mangiare del loro pane fatto dalla mamma e una cipolla cruda dicendo che non bruciava. Dovevano telefonare per sapere notizie perchè la mamma non sapeva nè leggere nè scrivere. Gli Emi o Immigrati hanno la vita dura. Avevo scritto che "la vita è una scuola, ma l'emigrazione è l'Università"..... Provare per credere.


Adele07 (Easy Rider)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

e 'una poesia penosa priva di retro terra culturale fatta da una virago post menopausa dove la metrica e la metafora sono ectoplasmi potrei andare avanti per ore ma la colpa del delirio e' solo vostra scegliete autori anonimi ma non ospiti di psichiatrie varie
tony pater

riccardo gavioso ha detto...

a parte la mancanza di rispetto per una persona che è mancata da poco ed era la decana dei blogger italiani, ti consiglio una botteguccia dove la punteggiatura non costa nulla: anche perchè ti vedo ancora distante dall'ultimo capitolo dell'Ulisse.

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